Franco Cordero, scomparso ieri all’età di 91 anni, non era solo un insigne giurista – allievo di Bobbio e Giuseppe Greco, suo il preclaro manuale di procedura penale, cultore erudito di temi che spaziavano dalla filosofia del diritto alla narrativa, dall’antropologia fino alla teologia – un esempio di come si dovrebbe esercitare la funzione di intellettuale, mai prono al potere politico né proclive ai compromessi.
“Eretiche, oggi, le schiene diritte, gli spiriti irriducibili ai servilismi, alle pastoie, alle losche mene degli azzeccagarbugli”
Come quando, per le sue posizioni eterodosse, venne epurato dall’università Cattolica: correva l’anno 1972: il caso Cordero campeggiò per giorni sulle prime pagine dei giornali giungendo addirittura dinnanzi alla corte costituzionale. La sentenza gli fu sfavorevole, ma ciò che conta è la battaglia morale che ingaggiò contro la parte più retriva degli ambienti cattolici.
Su Repubblica, di cui divenne collaboratore nel 2001 (un anno prima dell’abbandono della carriera accademica) sotto l’egida di Ezio Mauro, è stato un critico implacabile del berlusconismo, in particolare delle leggi ad personam, artatamente studiate per sottrarlo dai processi o per propiziarne gli interessi economici. Fu lui a coniare per Berlusconi il termine Caimano, a cui si ispirò il film eponimo di Nanni Moretti. Era uno scrittore dalla prosa funambolica e magniloquente, uno stile unico nel suo genere.
Fu tra i pochi a deplorare la rielezione di Napolitano a Presidente della Repubblica. In occasione del referendum costituzionale promosso da Renzi, si schierò contro la sua riforma costituzionale; sulla rivista Micromega rivelò di essere stato censurato da Repubblica (allora guidato da Mario Calabresi) dopo che lo stesso quotidiano gli aveva profferto un’intervista sul tema. Anche qui, a ben vedere, una differenza siderale rispetto ai tanti intellettuali di sinistra schieratisi a favore unicamente per ragioni politiche.
Sul Corriere della Sera Paolo di Stefano lo ha ricordato così: “La sua è stata una lunga vita di scavo, di riflessione e di scrittura spesso fluviale, dal timbro discorsivo severo e ironico. In Morbo italico (Laterza, 2003), nel solco del Discorso sopra lo stato presente del costume degl’italiani di Leopardi, tracciò un ritratto impietoso del nostro carattere nazionale di sudditi in cerca di padrone e terrorizzati dalla libertà, attratti più dalla farsa che dalla tragedia, anarcoidi e insieme conformisti. «La commedia italiana spesso disgusta ma non annoia mai», ha scritto. Cordero era un maestro dell’invettiva”.
Negli ultimi anni, dismesso l’impegno civile degli anni dell’egemonia di Berlusconi, si era ritirato a vita privata: “il professore voleva soltanto studiare, continuare a imparare, sapere” – ha scritto Mauro su Repubblica. Persino Giuliano Ferrara, a modo suo, gli ha tributato l’onore delle armi. Un modello per tutti.
2 comments
Sarà.. a me la sua prosa “funambolica e magniloquente” stava indigesta e la trovavo irritantemente tutta tesa a specchiarsi nella sua superiorità di intellettuale e per nulla destinata a farsi comprendere dal lettore. Il fatto che poi si sia schierato contro il referendum costituzionale di Renzi, l’ultima occasione (fatti salvi i molti difetti) di modernizzare questo Paese di Gattopardi, non lo considererei uno dei suoi titoli di merito
esatto (su Renzi)