L’Italia è, da sempre, la democrazia europea che frappone più ostacoli alla partecipazione democratica e all’esercizio del diritto di elettorato passivo. Le soglie di accesso, normative e burocratiche, per la presentazione di liste e candidature sono altissime e istituiscono una sorta di “apartheid” elettorale, per partiti e gruppi politici di cui, per il fatto di essere al di fuori delle assemblee elettive, viene decretata una sorta di minorità civile. Il numero delle firme richieste per le nuove forze politiche e le modalità imposte per la loro raccolta (qui un quadro sintetico e un breve confronto con altri paesi europei) costituiscono un disincentivo non solo imposto, ma anche rivendicato, come se la stabilità delle istituzioni e quella del quadro politico fossero due facce della stessa medaglia e, soprattutto, come se l’ostruzionismo riservato agli “intrusi” potesse davvero migliorare l’efficienza dei processi politici e garantire migliori equilibri di sistema.
La raccolta firme dei partiti nella storia italiana
Se nell’Italia primo-repubblicana questa logica poteva avere una parvenza non diciamo di legittimità, ma almeno di razionalità, nell’Italia contemporanea dei partiti usa-e-getta e della democrazia à la carte sostenere che queste altissime soglie di accesso alla competizione elettorale servano a proteggere la stabilità del quadro politico significa sfidare davvero il senso del ridicolo.
Oggi non c’è più – posto che vi sia mai stata – alcuna scriminante para-costituzionale per questa pratica apertamente antidemocratica e per le piccole e miserabili nicchie di rendita che chi ha la fortuna di entrare nelle istituzioni tenta di ricavarsi ai danni di chi sta fuori – e fuori deve rimanere. Come le norme anticoncorrenziali non proteggono, ma degradano il mercato e ne minano l’efficienza, così le norme che alterano la competizione elettorale non tutelano, ma deteriorano la qualità dei processi democratici. E non si può dire che in Italia oggi non si vedano le conseguenze di questo fenomeno.
L’altra faccia delle altissime soglie di accesso alla competizione elettorale in Italia è rappresentata da un regime di favore per le forze politiche più rappresentative. Peraltro, l’esenzione dalla raccolta firme per i partiti che avessero eletto parlamentari nelle elezioni precedenti non nasce nell’immediato dopoguerra, ma nella VI legislatura (articolo 1, comma 1, lettera g) della legge 23 aprile 1976, n. 136). Da allora, a seconda della legge elettorale, l’area del privilegio è stata più o meno larga e inclusiva. L’unica legge elettorale, da allora, a non avere previsto per nessuno esenzioni dalla raccolta firme è stato il Mattarellum: per le elezioni del 1994, 1996 e 2001 anche i partiti già rappresentati in Parlamento dovevano raccogliere le firme per ripresentarsi al giudizio degli italiani. All’estremo opposto c’è il cosiddetto Porcellum che, per le elezioni del 2008, ha previsto esenzioni praticamente per tutte le componenti parlamentari, purché costituite da almeno due rappresentanti.
Il Rosatellum e i tre casi di esenzione
La legge elettorale in vigore, il Rosatellum, prevede l’esenzione per le sole forze politiche, che fossero costituite in gruppi parlamentari in entrambe le camere, all’inizio della legislatura in corso al momento della convocazione dei comizi elettorali. A soddisfare questo requisito sono solo cinque partiti: Pd, M5s, Lega, FdI e FI. Un recente emendamento alla legge di conversione del decreto di abbinamento tra referendum e amministrative (articolo 6-bis del decreto legge 41/2022 ) ha esteso l’esenzione alle forze politiche in possesso di requisiti di rappresentatività ridotti.
In primo luogo partiti o gruppi politici costituiti in gruppo parlamentare in almeno una delle due Camere al 31 dicembre 2021, cioè Leu, Italia Viva e Coraggio Italia, e questo consente a un partito che non ha più gruppo parlamentare, cioè Coraggio Italia, di avere comunque l’esenzione, visto che la norma si è “dimenticata” di prevedere che il requisito dovesse sussistere anche al momento dello scioglimento delle camere.
Il secondo gruppo di esenti è costituito dai partiti che hanno presentato candidature con proprio contrassegno alle ultime elezioni della Camera dei deputati o alle ultime elezioni dei membri italiani del Parlamento europeo in almeno due terzi delle circoscrizioni e hanno ottenuto almeno un seggio assegnato in ragione proporzionale. Perché c’è un riferimento alle elezioni della Camera e non a quella del Senato? E perché c’è un riferimento alle elezioni del Parlamento europeo? Perché i due presentatori – Magi di +Europa e Costa di Azione – dovevano beneficiare i rispettivi partiti: il primo ha conseguito un eletto alla Camera nella circoscrizione estero nel 2018 insieme a Centro Democratico e il secondo ha eletto diciannove eurodeputati nel 2019 nella lista Pd-Siamo europei (precedente denominazione di Azione). E perché altre liste che hanno eletto deputati nella circoscrizione estera non godono dalla stessa esenzione di +Europa? Perché l’emendamento, per circoscrivere il beneficio a +Europa, ha previsto che accanto al requisito dell’elezione di un rappresentante ci fosse anche quello di avere presentato liste nelle circoscrizioni nazionali. “Sc… Sc… Scientifico” avrebbe detto Peppe Er Pantera ne I soliti ignoti.
Infine, l’ultimo gruppo. L’esenzione delle firme vale anche per i partiti che abbiano concorso alla determinazione della cifra elettorale nazionale di coalizione avendo conseguito, sul piano nazionale, un numero di voti validi superiore all’1 per cento del totale. Non bastava dire che erano esenti tutti i partiti che alle elezioni precedenti avessero superato l’1%? Ovviamente no, perché non solo “Noi con l’Italia”, la beneficiaria designata dell’eccezione, ma anche Potere al Popolo aveva superato l’1%, dunque è stato introdotto il sub-requisito della appartenenza a una coalizione e, guarda caso, Potere al Popolo di questo requisito era sprovvista.
Esenzioni duplicate, trasferite e discriminatorie
Nella lunga serie di norme arbitrarie e discriminatorie di cui è costellata la storia della legislazione elettorale italiana non si era mai arrivati a qualcosa di così ignobile. Neppure basta, visto che di norme in sé così brutte si stanno pure suggerendo interpretazioni fraudolente, perché a dette interpretazioni è affidata l’intera architettura della coalizione, per così dire, progressista, dove a parte il PD, nessuna delle tre liste collaterali – +Europa, Impegno civico e Alleanza Verdi Sinistra – dispone di un’esenzione se non surrettiziamente duplicata o trasferita. Vediamo i problemi nel dettaglio.
Da giorni e giorni sulla stampa si accredita qualcosa non solo di sbagliato, ma di impossibile. Cioè che la lista di Azione non ha un’autonoma esenzione dalla raccolta firme, perché questa è condivisa con il PD, mentre +Europa e Centro Democratico dispongono di due esenzioni separate. È pacifico che se la lista +Europa-Centro Democratico del 2018 produce due esenzioni distinte – +Europa avrebbe usato la prima per la lista comune con Calenda, oggi forse la userà solo per sé; Centro Democratico girerà la seconda alla lista di Di Maio – allora Azione ha un’esenzione distinta da quella del PD per le europee del 2019. Quel che non è affatto pacifico, ma molto dubbio è che, in generale, di un’esenzione se ne possano fare due. Sarebbe una cosa senza precedenti. Il fatto però che il Viminale non abbia sciolto questo dubbio autorizza il sospetto che l’attendismo risponda alla strategia del PD.
Se Letta farà impacchettare in un unico contenitore le liste di +Europa e Impegno Civico, cosa non esclusa, qualcuno farà dire al Viminale che una lista, anche con contrassegno composito, ha una sola esenzione. Se invece +Europa e Impegno Civico rimarranno spacchettati, qualcun altro farà dire al Viminale che l’esenzione è doppia, ma lo farà dire troppo tardi per Calenda, che a quel punto avrà già dovuto scegliere di raccogliere le firme o di “consegnarsi” all’esenzione di Renzi (in tal caso la lista deve essere unica) o di azzardare la presentazione con una esenzione incerta.
Infine il capitolo Sinistra Italiana. Il recente cambiamento (dopo la crisi di governo e prima dello scioglimento delle camere) della denominazione del gruppo di Liberi e Uguali alla Camera in “Liberi uguali, Articolo 1, Sinistra italiana” fa pensare che questo sia l’esonero che Bonelli e Fratoianni pensano di utilizzare. Ma Sinistra italiana non era affatto costituita in gruppo, né era contenuta nella denominazione del gruppo al 31 dicembre 2021, come prevede la norma; dal punto di vista giuridico non è una evoluzione di Liberi e uguali, ma solo una sua componente, e Liberi e Uguali si presenterà sì alle elezioni…ma nelle liste del PD. Il trasferimento dell’esenzione da un partito a un altro è un istituto esplicitamente presente in alcune leggi elettorali regionali, ma proprio nulla sembra autorizzarlo nella norma approvata poche settimane fa per Camera e Senato.
La strategia dell’incertezza
Morale della favola: nulla come la questione democratica per eccellenza – cioè le regole per la competizione elettorale – rappresenta la cartina al tornasole di quella che Pannella chiamava “la peste italiana”, cioè l’incertezza del diritto non come problema di governo, ma come metodo e strategia di potere. Da questo punto di vista è preziosa, anche se probabilmente vana, la denuncia di Marco Cappato, Virginia Fiume, Marco Perduca e dell’Associazione Eumans, che hanno promosso la presentazione di una lista (Democrazia e referendum) proprio per denunciare lo scandalo di un processo elettorale fondato su principi discriminatori e anti-democratici.
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2 comments
già, vero
ehi, c’è un vecchio su immoderati :) strano
Tra le varie questioni esaminate dovrebbe essere inserita anche quella relativa ai (reali) poteri di rappresentanza dei gruppi, partiti, movimenti e liste… perché leggendo statuti e dichiarazioni di trasparenza emergono alcune anomalie.