Nella notte di ieri è arrivata la notizia del ritiro da parte di Fiat-Crysler della proposta di fusione paritaria presentata a Renault il 27 maggio scorso. Ci dispiace del mancato accordo perché l’entità oggetto della fusione avrebbe creato il terzo leader mondiale dell’automobile ma, soprattutto, un colosso europeo in grado di affrontare al meglio, e su scala mondiale, le nuove sfide del settore.
Sul perché di questo mancato matrimonio procediamo per gradi. Analizziamo in primis i fatti e poi il contesto storico-giuridico dell’operazione. In particolare vedremo quali sono gli interessi e le prerogative dello Stato francese su Renault secondo la formula dell’ “État actionnaire”e cioè dello “Stato imprenditore”.
Il caso Fca-Renault
Il primo dato fondamentale da tener presente è che lo Stato francese è azionista al 15,01% di Renault e che, per effetto della fusione al 50%, ridurrebbe le sue quote al 7,5%.
La casa italo-americana giustifica il ritiro con la motivazione che «non vi sono attualmente in Francia le condizioni politiche perché una simile fusione proceda con successo». Insomma per Fiat la responsabilità è del governo francese nonostante in un primo momento il ministro dell’economia Le Maire si era detto favorevole alla fusione. In risposta alle accuse del gruppo italo-americano, Bercy (Ministère de l’économie) replica con un comunicato in cui prende atto della decisione di Fca specificando che lo Stato aveva imposto quattro condizioni:
– L’operazione di fusione con Fca doveva realizzarsi nell’ambito dell’alleanza tra Nissan e Renault (Nissan è titolare del 15% delle azioni di Renault mentre Renault del 43,04% delle azioni della casa nipponica);
– La preservazione dei siti industriali e dei posti di lavoro in Francia;
– Una governance rispettosa degli equilibri tra Fca e Renault;
– La partecipazione della futura entità all’accordo – punto 4 del documento – sulle batterie elettriche sottoscritto con la Germania.
Il mancato sostegno da parte di Nissan
Non si può criticare il governo francese su tutta la linea, la preservazione dei siti industriali e dei posti di lavoro può essere certamente condivisibile. Comunque per le ultime tre condizioni si era arrivati ad un accordo – o almeno così dicono – ma non ancora per la prima. Pertanto, il Cda di Renault avrebbe rimandato la decisione al fine di convincere anche il partner giapponese. La notizia del rinvio è arrivata a tarda notte così come la pronta risposta di Fca nel ritirare l’offerta.
In pratica, Fca accusa il governo francese di troppa ingerenza mentre questo si giustifica con la mancanza del necessario sostegno “esplicito” da parte di Nissan. Insomma la mancata fusione Fca-Renault sarebbe colpa di Nissan!
Certo, il sostegno di Nissan non era esplicito, tanto è vero che gli amministratori della casa giapponese all’interno del Cda di Renault si sarebbero astenuti dalla decisione. Tuttavia, non possiamo accontentarci di una simile spiegazione e, a torto o a ragione, dobbiamo interrogarci sul punto tre del comunicato di Bercy e cioè sulla questione della “governance rispettosa degli equilibri tra Fca e Renault”.
Il ruolo dello Stato francese nelle operazioni di cessione
Come già detto, lo Stato francese è proprietario al 15,01% delle azioni di Renault. Questa quota di partecipazione è frutto di una storia abbastanza complessa e dell’eredità colbertista della Francia. Dopo la seconda guerra mondiale la società era stata nazionalizzata. Dal 1986 si inaugura l’era delle privatizzazioni mentre per una vera dismissione delle partecipazioni in Renault bisogna aspettare gli anni ‘90.
Ad oggi il ruolo dell’Etat actionnaire è disciplinato dall’Ordinanza del 20 agosto 2014 così com’è stata modficata dalla loi Macron del 6 agosto 2015 che indica due regimi: uno per le imprese controllate dallo Stato, e cioè la cui partecipazione è maggioritaria, e l’altro per imprese nelle quali lo Stato detiene una partecipazione minoritaria. In entrambi i casi, la volontà della Stato è quella di limitare la perdita di controllo della società. In pratica ti cedo le quote ma voglio mantenere il controllo. Questo oggi si esercita sia mediante le azioni privilegiate della Loi “Macron” ed altre forme di potere sul Cda – in evoluzione del Golden share – quanto con le disposizioni della Loi “Florage” che vedono il riconoscimento ormai diretto del doppio diritto di voto agli azionisti proprietari da più di due anni.
Inoltre, per “cessione” si intende qualsiasi perdita di partecipazione societaria il che fa rientrare anche le fusioni.
Tutto questo ci è utile a capire il comportamento del governo francese nella precedente operazione Nissan-Renault.
L’alleanza Renault-Nissan
A partire dal 2001 la partecipazione statale era stata ridotta al 15% (la stessa percentuale acquistata contestualmente da Nissan). Con l’entrata in vigore della Loi “Florange“ nel 2014 il principio del doppio voto agli azionisti di più di due anni diventa automatico. La ratio è sempre quella di favorire lo Stato che storicamente è azionista di lunga di data. Tuttavia, il Cda della società ha il potere di escluderlo mediante statuto. Difatti, nel caso Nissan-Renault il governo temeva che il Cda potesse escludere da statuto questo loro diritto (auto irrogato!). Cosa succede? Per evitare il rischio di una minoranza all’interno del Cda, e quindi la perdita dei doppi voti, lo Stato acquista un ulteriore 4,70% di partecipazioni. Tale comportamento solleva non poche polemiche lato Nissan; le azioni saranno poi ricedeute solo nel novembre 2017.
Le ingerenze dello Stato nella fusione Fca-Renault
La questione del doppio voto si ripropone anche nell’operazione Fca-Renault. Lo Stato francese vuole la riconferma ma Fca non acconsente aprendo tuttavia la possibilità a loyalty voting per tutti gli azionisti. E già qui possiamo sentire i borbottii francesi di disapprovazione arrivare ben oltre le Alpi. Inoltre, neanche la quotazione in borsa andrebbe bene perché non terrebbe conto del reale potenziale di Renault e andrebbe pertanto modificata, cosa al quanto improbabile.
Ricordiamo che si tratta di una fusione paritaria e cioè al 50 e 50. Il cda di 11 membri avrebbe avuto un maggioranza di membri neutrali, 4 membri per Fca, 4 per Renault ed uno per Nissan. Eppure in Francia si critica la formula delle fusioni paritarie perché c’è sempre una parte che finisce per imporsi sull’altra. Il problema però qui, e non me ne vogliano gli amici d’oltralpe, pare essere un altro e cioè che alla Francia non piace una fusione paritaria proprio perché per definizione non potrebbe essere la parte che prevale sull’altra!
Dal quotidiano l’Opinion definiscono la rottura un gâchis français e cioè un pasticcio francese! E sì perché in fondo a perderci più di tutti siamo noi consumatori tanto italiani quanto francesi ma europei tutti, noi contribuenti e noi investitori. Si trattava di un’operazione importante non solo per l’asse Italia-Francia ma per tutta l’industria automobilistica europea!
Protezionismo periodico
Ricordiamoci anche il caso Stx-Fincantieri dove l’1% che permette la maggioranza di Fincantieri in seno al Cda della nuova entità è solo un prestito da parte dello Stato francese che può ritirare in qualsiasi momento!
Rincariamo la dose! Il 14 maggio 2014 è stato promulgato un decreto che prevede un’autorizzazione preventiva agli investimenti stranieri – N.B. non si tratta di “investimenti non europei” ma proprio di stranieri tout court! – nei settori strategici senza per altro che vi sia una chiara definizione di questi ultimi se non una troppo vaga delimitazione.
Rispondiamo a M. Bruno Le Maire, con la speranza che ricordi la sua ispirazione liberale, con le parole di uno dei più autorevoli economisti francesi Fréderic Bastiat:
“Lo Stato apre un sentiero, costruisce un palazzo, sistema una strada, perfora un canale; da una parte dà del lavoro a taluni operai, e questo è quello che si vede; ma, dall’altra toglie lavoro ad altri, questo è quello che non si vede“…