Come leggenda vuole, Simon Kuznets, Premio Nobel per l’economia nel 1971, un giorno cercò di spiegare alla sua platea di attenti colleghi che “al mondo esistono quattro tipi di paesi: i paesi già sviluppati, i paesi in via di sviluppo, il Giappone e l’Argentina”.
Visto il declino che ormai attanaglia il paese sud-americano da oltre un secolo (questo lungo articolo del “The Economist” è tra i migliori a riguardo) e considerata la storia economica dell’Argentina a partire dai primi decenni del 1900 – storia fatta di brevi periodi di sviluppo e crescita, lunghi periodi di recessione, sei golpe militari, periodi di iperinflazione (tra il Luglio 1989 ed il Luglio 1990 l’inflazione superò il 2,000% e toccò un massimo di 20,000%) e politiche macroeconomiche auto-distruttive, promosse nel totale disinteresse del paese (sia esse “neo-liberiste”, sia esse “keynesiane”, che di stampo “socialista” e/o “peronista”) –, la frase pronunciata da Kuznets non avrebbe mai potuto essere più veritiera.
Come ben riportato da Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff nel libro, pubblicato nel 2009, “This Time is Different”, fino ad oggi l’Argentina si è dichiarata insolvente per ben 8 volte (inserendo nel conteggio anche il piccolo default del 2014) ed ha trascorso circa un terzo della propria storia recente (dal giorno dell’indipendenza, avvenuta il 9 Luglio 1816) a ristrutturare il proprio debito sovrano con i creditori (parliamo di circa 65-70 anni, in totale).
Per descrivere la storia della crisi argentina del 1998-2002, le cui cause sono moltissime, non basterebbe probabilmente nemmeno un libro. Di conseguenza, il 5 Dicembre 2001 sarà il nostro punto di riferimento iniziale.
Il default.
Subito dopo la decisione del governo De La Rua di “congelare” tutti i conti bancari per un anno, il 5 Dicembre 2001, il Fondo Monetario Internazionale, spiegando che l’Argentina non aveva portato a termine le riforme concordate e non aveva mantenuto le promesse riguardo gli obiettivi di deficit, decise di annullare il prestito di $1,3 miliardi di dollari.
Nelle due settimane successive, mentre il tasso di interesse dei titoli di stato argentini superava il 40%, numerose proteste, scontri e manifestazioni nei confronti del governo sfociarono in gravi episodi di repressione. Quello che De La Rua più temeva si era tramutato in realtà: gli argentini, stanchi di promesse non mantenute, controlli sui conti bancari sempre più restrittivi e con un paese vicino al collasso economico (per l’ennesima volta), erano scesi in piazza e chiedevano le sue dimissioni.
Al culmine della brutale giornata del 20 Dicembre, giorno in cui 26 persone persero la vita a causa dei violenti scontri di piazza, De la Rua rassegnò le dimissioni.
Il 21 Dicembre, in un clima ormai surreale, Rodriguez Saá fu scelto come nuovo presidente ad interim e la prima, immediata, mossa del suo governo fu la seguente: dichiarare insolvenza sul proprio debito estero.
Di conseguenza, durante i giorni di festa natalizia, l’Argentina entrò ufficialmente in default, con 152 serie di titoli di stato in arretrato da pagare. L’ufficiale “moratoria temporale” dichiarata dall’amministrazione Saá ammontava a oltre $80 miliardi di dollari di debito estero. Per la settima volta nella sua storia, l’Argentina era in bancarotta e tale insolvenza divenne il più grande default della storia (ad oggi, solo la ristrutturazione del debito pubblico greco del 2012 ha riguardato una somma più elevata, pari a circa €196 miliardi di Euro).
Da quel momento in poi, ogni anno, per oltre 14 anni (fino ad inizio 2016) l’Argentina ha sempre rinnovato la “moratoria” evitando di pagare gli “holdout creditors” (i cosiddetti “creditori oppositori”, ridenominati da Cristina Fernandez de Kirchner “vulture funds”).
L’inizio della lunga ristrutturazione del debito.
Considerata la data di maturazione dei titoli di stato in arretrato da pagare (maturazione che variava dall’aprile 2005 al settembre 2031), la vera ristrutturazione del debito sovrano estero argentino iniziò nel 2005.
Per cercare di convincere i creditori a partecipare al processo di ristrutturazione ed accettare i termini dell’offerta, il governo Argentino di Nestor Kirchner adottò il metodo “del bastone e della carota”. Infatti, se da un lato, l’Argentina rese subito chiare le sue intenzioni di emettere nuovi titoli di stato con una riduzione nel valore attuale netto del 75% rispetto ai titoli di stato precedenti; dall’altro lato il governo approvò una legge, chiamata “most favoured creditor clause”, con la quale si apprestava a non effettuare nessun altro tipo di pagamento ai creditori che si sarebbero rifiutati di partecipare all’offerta di scambio. In altre parole, il governo argentino non avrebbe più effettuato in futuro nessun’offerta ai potenziali “holdout creditors”.
Durante l’approvazione della “most favoured creditor clause” il governo argentino lasciò deliberatamente fuori dal testo il termine “accordo”. Ciò rendeva tale legge totalmente inadeguata agli occhi dei creditori. Infatti, il testo finale di tale legge lasciava il governo argentino libero di raggiungere un altro accordo con gli “holdout creditors”. A seguito di ciò, pochissimi giorni prima dell’inizio dell’offerta di scambio, il governo Kirchner approvò una nuova legge, chiamata “Lock Law”, che impediva la riapertura dell’offerta di scambio, una volta terminato il processo di ristrutturazione. Secondo il ragionamento del governo, in questo modo gli “holdout creditors” avrebbero avuto meno incentivi nel non accettare l’offerta.
Prima di proseguire nel racconto è però importante tenere a mente questi due dettagli fondamentali: 1) prima della ristrutturazione del debito del 2005, nessun titolo di stato argentino conteneva le cosiddette “Clausole di Azione Collettiva”; 2) né la “most favoured creditor clause”, né la “Lock Law” escludevano il pagamento agli “holdout creditors” in seguito a una decisione legale.
Nonostante le condizioni sfavorevoli ai creditori, l’offerta di scambio del 2005 si concluse positivamente per il governo argentino. Il 76% dei creditori (per un valore pari a $62,3 miliardi di dollari, sugli 80 miliardi totali) decise di accettare i termini della ristrutturazione.
Dopo anni di processi e di contenziosi e visto la rimanente parte di debito estero non ancora ristrutturata, nel 2010 il governo Argentino sospese temporaneamente la “Lock Law” e condusse una seconda offerta di scambio con termini ancora peggiori per i creditori (nonostante l’inserimento delle “Clausole di Azione Collettiva” nei nuovi titoli di stato, l’Argentina infatti si rifiutò di riconoscere il pagamento degli interessi maturati dal 2005 al 2010). Alla fine di questa seconda offerta, il 92% del debito in default era stato ristrutturato. Ancora una volta, però, i cosiddetti “Vulture funds”, capitanati da NML Capital*, decisero di non partecipare.
A seguito di questa seconda offerta di scambio, l’Argentina doveva così ancora ripagare gli “Holdout creditors” per una somma equivalente all’8% del debito estero su cui si era dichiarata insolvente nel 2001. La ristrutturazione completa del debito era ancora lontana dal concludersi.
*NML Capital è una società sussidiaria della Elliott Management Corporation, un fondo speculativo (hedge fund) che durante la ristrutturazione del debito sovrano peruviano riuscì a farsi ripagare per intero i $20 milioni di dollari acquistati sul mercato secondario. Dopo aver evitato di partecipare all’offerta di scambio effettuata dal governo peruviano, nel 2000, Elliott riuscì ad ottenere un pagamento “totale” pari a $58 milioni di dollari.