Brevissima introduzione al dibattito storico sulla disuguaglianza economica (ed al provincialismo italiano in merito al libro di Thomas Piketty)
Anche l’ultimo libro di Thomas Piketty, Il capitale nel XXI secolo, al di là dell’ “eroico sforzo” di pochi (penso ai commenti sul blog di la Repubblica del sempre interessante Prof. Alessandro de Nicola, a quanto riportato da Il Foglio sul pensiero del “Chicago Boy” Prof. Luigi Zingales, oppure ancora all’intervista – che personalmente ho trovato poco indicativa per giudicare l’operato dell’economista Parigino – per l’Espresso di Tito Boeri) è rimasto, a distanza di mesi, praticamente snobbato dall’opinione pubblica italiana.
A dire la verità, anche altri commentatori o professori hanno cercato di elaborare qualche corsivo o post riguardante il libro ma, a parte qualche considerazione astratta, troppo generica o complottista, molto poco è stato detto e scritto.
Come avrete letto nel titolo (parte 1°), questo articolo è il primo di una piccola serie (cinque scritti) nella quale cercheremo di mettere in evidenza il modello economico costruito da Piketty, concentrandoci sui diversi errori tecnici del libro.
Per chi, come il triste e noioso sottoscritto, ha portato avanti una ricerca universitaria intitolata La disuguaglianza sociale ed il futuro del capitalismo, molte delle critiche rivolte al professore francese (lasciando da parte gli articoli del Financial Times) sembrano essersi effettivamente fermate – come rivelano le statistiche del Kindle targato Amazon – a pagina 26 del “nuovo Capitale”, e cioè neanche alla fine dell’introduzione del massiccio tomo, lungo (nella sua versione inglese, quella qui utilizzata per la bibliografia) 577 pagine (appendice esclusa).
Sarà forse il provincialismo dell’accademia italiana che si traduce spesso in atteggiamenti italo-centrici ed in discussioni marginali impregnate di odio politico reciproco, ma la parte sicuramente più interessante del libro di Thomas Piketty non è certamente né l’introduzione del libro, che però a quanto pare sembra aver riscosso il “maggior successo” tra i tanti lettori di e-books, e nemmeno gli ultimi quattro capitoli – non a caso quelli delle così dette “policy recommendations” – , che personalmente reputo la parte meno interessante, meno bella (e più idealista) dell’intera opera.
Contrariamente a quello che molti pensano (in questo caso è giusto bacchettare anche il Prof. Alberto Bagnai – sono sicuro lui la prenderà sul ridere essendo un uomo di gran favella e battuta – per il proprio commento, pubblicato sul suo frequentatissimo blog, in cui si afferma che, testuali parole: “il potere ha cominciato a parlare della disuguaglianza dopo aver trovato il modo di trasformarla in veicolo di odio sociale e di guerra fra poveri, e che Piketty sta platealmente giocando questo gioco”) il dibattito economico sulla disuguaglianza sociale è vecchio tanto quanto l’economia politica stessa.
Ripercorrendo, in modo rapido (non si vuole rovinare l’intera giornata al nostro caro lettore!), la storia del pensiero economico moderno, la tematica del reddito, del profitto, del salario, della “divisione del prodotto tra gli uomini” fu già ampiamente discussa sia dalla prima generazione dei grandi economisti “classici” – Francois Quesnay (1694-1774), Adam Smith (1723-1790), Thomas Malthus (1766-1834), David Ricardo (1772-1823) – che dalla seconda – Karl Marx (1818-1883), Friedrich Engels (1820 – 1895) e George Henry (1839-1897) – ed ancora oggi, il pensiero di queste grandi menti giace alla base del dibattito contemporaneo (vedere – ma forse meglio leggere – per credere il libro di Thomas Piketty) circa la disuguaglianza economica.
Se nel corso del XIX secolo i pensatori classici avevano a loro disposizione (purtroppo) uno scarso numero di dati per poter analizzare in modo analitico le principali questioni dell’economia politica, nel corso dei primi decenni del XX secolo, il dibattito sulla disuguaglianza sociale assunse connotati sempre più empirici. Tra i vari economisti che si occuparono dell’importante materia è giusto ricordare, oltre all’economista neo-classico John Bates Clark (1847-1938) – famoso per il suo modello economico con solo due fattori di produzione: capitale e lavoro – anche gli Italiani Vilfredo Pareto (1848-1923) e Corrado Gini (1884-1965), i quali ci spiegarono, attraverso formule matematiche chiamate poi rispettivamente Principio di Pareto e Coefficiente di Gini che in Italia (ma anche in altri paesi) circa l’80% della terra era nelle mani del 20% più ricco della popolazione e che la disuguaglianza del reddito fosse statisticamente calcolabile.
Nei decenni delle grandi guerre, il dibattito sulla disuguaglianza economica rimase abbastanza statico. Successivamente però, nel corso degli anni ’50 e degli anni ’60, l’intenso lavoro di Simon Kuznets cambiò radicalmente il modo di osservare e studiare la divergenza di reddito e ricchezza tra gli strati più poveri e quelli più ricchi della popolazione. Kuznets, economista Bielorusso, naturalizzato Americano, spiegò che la distribuzione del reddito tende a peggiorare nella prima fase dello sviluppo, migliorando invece in maniera costante con la transizione a un’economia di tipo industriale. Riassumendo, maggiore è lo sviluppo economico di una nazione, minore sarà il divario tra ricchi e poveri.
Nonostante gli studi di Kuznets sulla disuguaglianza economica pervasero il pensiero economico per molto tempo, una vasta parte del mondo accademico tornò finalmente ad occuparsi della tematica a partire dai primi anni ’70.
Nel 1975 Arthur Okun pubblicò uno dei suoi libri più importanti in cui evidenziava un “trade-off” tra uguaglianza ed efficienza. Nel 1981 Meltzer e Richard pubblicarono un “paper” in cui si spiegava come la ridistribuzione del reddito non sempre giova all’economia poiché una parte di coloro che ne beneficiano tende a sottrarsi al lavoro.
L’affermarsi del pensiero economico “supply-side”, il quale metteva in relazione un più elevato livello di disuguaglianza economica con una maggiore necessità di politiche redistributive e un rallentamento della crescita economica, fu successivamente ripreso in considerazione da altri economisti negli anni ’90. Persson e Tabellini (1994) e Alesina e Rodrik (1994) analizzarono l’impatto della disuguaglianza economica sul tasso di crescita complessiva di diversi paesi e giunsero alla conclusione che livelli di disuguaglianza più elevati possono condurre i governi ad attuare politiche di redistribuzione inefficaci, minando la produzione economica nel lungo periodo.
Partendo proprio da questi risultati, studi ancora più recenti, come quelli di Berg, Ostry e Tsangarides (2014) o di Berg e Ostry (2011) del Fondo Monetario Internazionale, hanno invece osservato come una maggiore uguaglianza economica sembra essere il fattore economico più importante per una crescita armoniosa di lunga durata.
Al tempo stesso, è importante ricordare l’interessante lavoro svolto nel corso di questi ultimi anni da Daron Acemoglu e James Robinson. I due economisti americani pongono l’accento sul ruolo svolto dalle istituzioni politiche per stabilizzare il sistema economico. Essi sostengono che, ad una maggiore instabilità politica spesso e volentieri corrisponda un livello più alto di disuguaglianza tra i cittadini di una nazione.
Per finire questa nostra breve cronistoria del dibattito sulla disuguaglianza economica, citiamo alcuni dati. Secondo quanto riportato in una delle più recenti pubblicazioni dell’OCSE (2014: 199-215) le disparità di reddito – misurate secondo il reddito familiare al netto delle imposte – ha raggiunto livelli simili a quelli della “Belle Epoque” (fine 1800). Al tempo stesso, secondo quanto riportato da Piketty (2014: 336-350) la disuguaglianza dei beni e della ricchezza – calcolata come ricchezza del 10% più ricco della popolazione – sono in continua crescita dalla fine degli anni ’70.
Vedi anche Critica de “Il capitale nel XXI secolo” – Parte 2°
Bibliografia:
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Alesina, A. and Rodrik, D. (1994). Distributive Politics and Economic Growth. 1st ed. [ebook] Oxford: Oxford University Press. Available at: http://www.jstor.org/stable/pdfplus/2118470.pdf [Accessed 12 Jan. 2015].
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Persson, T. and Tabellini, G. (1994). Is Inequality Harmful for Growth?. 1st ed. [ebook] Nashville, Tennessee: American Economic Association. Available at: http://www.jstor.org/stable/pdfplus/2118070.pdf?acceptTC=true [Accessed 12 Jan. 2015].
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Ricardo, D. (1821). On the Principle of Political Economy and Taxation. 3rd ed. Kitchener, Ontario: Batoche Books.
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