Era prevedibile che il mancato coinvolgimento di Berlusconi nella scelta del capo dello Stato avrebbe prodotto conseguenze importanti. Al netto dei retroscena e delle dietrologie di chi assicurava che nell’accordo tra i due contraenti vi fosse anche la scelta del nuovo presidente della Repubblica, è presumibile che Renzi e Berlusconi avessero stabilito quantomeno un’intesa di massima per eleggere un candidato non sgradito a quest’ultimo.
E così, dopo lo sgarbo del presidente del Consiglio, il patto del Nazareno è stato archiviato. Se ciò avrà degli effetti sulle riforme istituzionali e sulla legge elettorale è presto per dirlo. Berlusconi non ha particolari motivi per boicottarle, sebbene l’italicum, col premio alla lista invece che alla coalizione, risulti per lui molto svantaggioso; Renzi ha comunque i numeri per approvarle a maggioranza, esponendosi però alla possibilità di un referendum confermativo. In ogni caso potrà sempre minacciare ritorsioni sui temi cari a Berlusconi (le aziende, la giustizia) per riportarlo a più miti consigli. Va in questo senso la decisione di espungere dal testo della riforma fiscale, rimandata a maggio, la tanto contestata norma 19-bis che di fatto, con l’estinzione del reato, avrebbe cancellato la condanna per frode fiscale.
Chi dalla rottura ha tutto da guadagnarci è Salvini, col quale Berlusconi ha stretto un’alleanza in vista delle regionali.
Ha ottenuto l’appoggio di Belusconi e di Forza Italia ai suoi candidati in altre due regioni (Liguria, Toscana) e l’esclusione dall’alleanza del partito di Alfano. Imposto la sua egemonia su un partito, Forza Italia, ormai allo sbando, con un leader nel pieno declino della propria parabola politica. Vedremo se il cambio repentino di strategia del leader di FI gli porterà maggiori benefici. In ambedue i casi – fronte comune con Salvini all’opposizione, riservandosi di valutare di volta in volta come comportarsi nei confronti dell’esecutivo o appoggio esterno al governo di centro-sinistra – è condonnato ad un ruolo gregario.
In conclusione, il sistema politico italiano si va sempre più configurando secondo lo schema, delineato anni fa da Giovanni Sartori, del pluralismo polarizzato: un sistema partitico con non più di 5-6 partiti, molto distanti ideologicamente tra loro, un unico partito al centro del sistema (il PD di Renzi), perennemente al governo e inamovibile, sostenuto da piccoli partiti satellite (NCD, ciò che rimane di Scelta Civica) e la presenza di due partiti antisistema (grillini e Lega Nord). In altri termini: un ritorno alla Prima Repubblica e al “bipolarismo imperfetto” che impediva l’alternanza al governo.
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Sintesi ineccepibile della situazione, che lascia l’area di centro destra priva di una rappresentanza credibile, messa di fronte, da un lato, ad un vecchio leader inamovibile che ha squalificato la sua forza politica con i suoi comportamenti privati ma anche circondandosi di figure politiche spesso indigeribili, ed al meglio inconsistenti, per non parlare della diffusione di affiliati corrotti su tutto il territorio nazionale, e dall’altro ad un populista ignorante, sebbene abile, antieuropeista ed avventurista (no euro), che mira al potere per il potere, senza alcuna visione politica omogenea e proponibile alle spalle.