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Disinformazione personalizzata, il politico sta nei dettagli

Gli esperti di comunicazione politica si interrogano da tempo su come convincere sempre più elettori a sostenere e votare un determinato candidato piuttosto che un altro, tanto che nell’ultimo decennio si è giunti ad una progressiva personalizzazione degli annunci pubblicitari e delle notizie che ci vengono proposte sul web. In che modo si evolve, a grandi linee, la comunicazione dei principali candidati alle presidenziali americane e come influiscono questi cambiamenti sulla diffusione della disinformazione?

La forte tendenza alla personalizzazione della comunicazione politica si sarebbe sviluppata soprattutto con la campagna presidenziale del 2008 di Obama, grazie al direttore del suo team statistico, Dan Wagner. È proprio Wagner, infatti, ad avere l’idea di concentrarsi sempre di più sul singolo individuo, creando notizie e messaggi politici maggiormente personalizzati, confezionati elettore per elettore. Il giornalista Sasha Issenberg suggerisce sul MIT Technology Review come “la campagna di Obama ha utilizzato l’analisi dei dati e il metodo sperimentale per ottenere voto per voto la vittoria della propria coalizione. Nel fare questo ha rovesciato il lungo dominio della pubblicità televisiva nella politica americana e ha creato qualcosa di nuovo nel mondo: una campagna nazionale gestita come un’elezione locale, in cui gli interessi dei singoli elettori sono noti e affrontati”.

I metodi di Dan Wagner avrebbero quindi rivoluzionato totalmente gli strumenti utilizzati fino a quel momento, propri del XX secolo. Si è passati da considerare piccoli campioni, categorizzati per etichette come età o sesso, che potevano essere considerati rappresentativi dell’insieme, ad utilizzare invece tecniche che si concentrano sulle persone in primis come individui – e solo in secondo luogo come parte di un gruppo di elettori. Naturalmente questa personalizzazione dei messaggi politici riguarda anche la disinformazione e il fenomeno sarà ancor più amplificato nelle elezioni presidenziali degli Stati Uniti del 2016.

Donald Trump, nonostante abbia investito solo metà dei fondi della Clinton nella campagna elettorale, cinquecento milioni contro circa un miliardo, è riuscito infatti a vincere anche grazie a tecniche veramente efficaci di marketing e diffusione di notizie false. Solamente nel giorno del terzo dibattito televisivo tra Trump e Clinton, il candidato repubblicano che poi trionferà alle elezioni ha proposto ben 140mila tipologie differenti di contenuti ai propri sostenitori sui social. Le differenti sponsorizzazioni variavano spesso anche solo di un dettaglio di colore o scritta e servivano a comprendere quali combinazioni fossero più efficaci per le diverse persone. Per la maggior parte dei fruitori di questi contenuti è molto difficile accorgersi degli stratagemmi sempre più lievi e mirati utilizzati per personalizzare i messaggi politici online a seconda dei dati acquisiti sui singoli utenti. Di fronte a mobilitazioni di così potenti mezzi
comunicativi, dobbiamo necessariamente interrogarci attivamente su come rimanere padroni delle nostre scelte, cercando di non cadere nei tranelli che ci vengono posti innanzi e nella disinformazione che abita ogni meandro del web.

La stessa espressione “fake news“, cioè “informazioni appositamente create, sensazionalistiche, emotivamente cariche, fuorvianti o totalmente inventate che imitano la forma delle notizie mainstream”, non rispecchia più a pieno il fenomeno dell’informazione scorretta, soprattutto in ambito politico. La distanza tra utenti e “produttori” di notizie è sempre più labile e sono numerosi gli utenti che contribuiscono inconsapevolmente alla misinformazione, ovvero la diffusione di un’informazione fuorviante, imprecisa o
completamente falsa che, a differenza della disinformazione, viene diffusa senza l’esplicita intenzione di ingannare.

Piuttosto che utilizzare delle vere e proprie notizie false, quindi, la maggiore personalizzazione dei messaggi politici permette di fare leva su questioni controverse e narrabili in maniera distorta, toccando anche quei dettagli che possono catturare l’attenzione del singolo utente in base al suo profilo. La “caccia al voto” si dilata spesso in una perenne campagna elettorale giocata sul “sedurre informando“, sulla restituzione efficace e personalizzata di notizie non per forza false. Il diavolo sta nei dettagli e da fruitori dobbiamo
abituarci sempre più a fare attenzione alle personalizzazioni e alle sfumature narrative, leggere quanto impattanti.

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