Molti si lamentano della crescente disuguaglianza di redditi nei singoli stati e più in generale nel mondo. L’argomento sta diventando di fuoco soprattutto negli Stati Uniti, dove Bernie Sanders ne ha fatto il maggiore tema della propria campagna. Qui infatti, secondo l’indice di GINI, la disuguaglianza di reddito è maggiore che nei Paesi europei.
Quando si parla di disuguaglianza ci si può riferire a quella di reddito (cioè di flusso) e a quella di capitale (cioè di stock). È ovvio che la seconda sia maggiore della prima, perché i non ricchi tendono a consumare quasi tutto il proprio reddito, i ricconi invece, come sappiamo, ne mettono un bel po’ da parte.
Sicuramente entrambi i temi sono di grande interesse: noi qui parleremo della disuguaglianza reddituale (la più importante, perché dai redditi derivano i consumi); quando parleremo di ricchi e poveri quindi intenderemo sempre ricchi e poveri in termini di reddito.
Negli USA a partire grossomodo dall’anno 1980, la composizione del reddito annuale degli abitanti divisa per fasce di reddito è cambiata moltissimo. L’Ufficio del Censimento USA utilizza 5 fasce di reddito, dette “quintili”: il quintile più basso contiene il 20% della popolazione più povera; il quintile più alto contiene il 20% della popolazione più ricca; e così via…
In particolare il 20% più ricco è passato dall’ottenere il 44.1% del reddito totale prodotto nel 1980, al 49.8% nel 2000, al 51.2% nel 2014. Invece l’80% più povero (cioè gli altri 4 quintili) è passato dall’55.9%, al 50.2%, al 48.8% (qui i dati).
Quello che succede, e nessuno qui lo nega, è che di quella enorme torta che è il reddito annuale degli Stati Uniti, i ricchi ne prendano sempre più spicchi (cioè una percentuale sempre più alta del totale); e tutti gli altri, l’80% degli americani, ne prendano sempre di meno.
Bisogna però allo stesso tempo ricordare che la torta diventa sempre più grande, perché il PIL reale degli USA (anche a parità di popolazione) cresce nel tempo. Quindi che i poveri nel tempo diventino sempre più poveri, è tutto da dimostrare.
Potrebbe capitare infatti che i poveri, pur prendendo meno spicchi, finiscano per avere più torta di prima (un reddito reale maggiore). Oppure potrebbe capitare che pur diventando la torta più grande, i poveri prendano meno torta (un reddito reale minore).
Vediamo quale delle due tendenze ha prevalso nel tempo. Dopo una serie di noiosa di calcoli – che per praticità trovate a fine articolo* – possiamo passare alle conclusioni.
Ciò che è successo negli ultimi 35 anni negli Stati Uniti è chiaro: la disuguaglianza reddituale è aumentata (come abbiamo visto dai dati di prima), allo stesso tempo però tutte le fasce hanno visto il loro reddito reale aumentare. Vediamo come:
Ad esempio, dal 1980 al 2000, il reddito reale complessivo percepito dal primo quintile è aumentato del 25,2%. Conseguentemente possiamo dire che chi fa parte del primo quintile (fascia più povera in assoluto) ha visto il proprio reddito reale aumentare mediamente del 25,2%.
Dunque dal 1980 ad oggi, sebbene i ricchi prendano sempre più fette del reddito prodotto dall’economia in un anno, tutte le fasce di reddito mangiano più torta.
Un’altra metafora che si può utilizzare è la seguente: se da un albero di mele nel 1980 un povero coglieva 4 mele l’anno e un ricco 6 mele l’anno, oggi il povero ne prende 5 e il ricco 15.
Quindi quando Bernie Sanders afferma che negli Stati Uniti «la classe media sta scomparendo e i poveri stanno diventando sempre più poveri» semplicemente afferma il falso (lo fa qui al minuto 4:40).
Che poi alcune sue argomentazioni siano giuste, come ad esempio la critica alle troppo alte tasse universitarie, è tutta un’altra questione.
Ma dire esplicitamente (come ha fatto in qualche occasione) o lasciar intendere (come fa in ogni occasione) che, a parte i più ricchi, tutti gli altri stiano diventando più poveri, proprio non si può!
In concreto la disuguaglianza rimane un problema perché, ad esempio, una società in cui la metà prende 7 mele l’anno e l’altra metà solo 3, è meno efficiente nell’assicurare benessere ai propri i cittadini di una in cui la metà ne prende 6 e l’altra 4.
Cosa fare quindi? Alzare le tasse sui ricchi? Nel 2012 l’amministrazione Obama lo ha fatto, ha portato l’imposta massima sul reddito delle persone fisiche (PIT) dal 35% al 39,6%. In generale però va ricordata la tendenza opposta alla riduzione della disuguaglianza, cioè quella per cui un aumento di tasse scoraggia l’economia nel suo complesso. Aumentare le tasse col nobile intento di ridurre la disuguaglianza, potrebbe portare a risultati non sperati. Cerca di spiegarlo Margaret Thatcher all’opposizione laburista nella camera dei comuni in questo video. Momento rimasto nella storia, se non altro, per la sua ilarità.
Di nuovo, per dirla alla Churchill:
«Il vizio intrinseco del capitalismo è l’ineguale ripartizione delle ricchezze;
la virtù intrinseca del socialismo è l’equa condivisione delle miserie»
Si deve quindi trovare un livello di tassazione che non scoraggi troppo la crescita economica né crei troppa disuguaglianza: un equo compromesso fra le due tendenze insomma. Quello fissato da Obama di recente lo è? Difficile dirlo, gli economisti esperti sul tema non sono per niente d’accordo tra di loro, il che, se ci pensiamo, non è una novità.
PS Ogni proposta di alzare le tasse sul reddito si scontra inesorabilmente con il fatto che persone e imprese tendono a sfruttare la possibilità di andarle a pagare nei Paesi dove queste sono più basse. Un problema del genere (lo dice anche Thomas Piketty) può essere risolto soltanto con la cooperazione internazionale e con una tassa mondiale. Ottenere un risultato del genere è decisamente improbabile senza un governo mondiale e una parziale rinuncia di sovranità da parte degli stati nazionali.
PPS Alla disuguaglianza reddituale all’interno dei singoli paesi fin qui analizzata, va affiancata quella mondiale; decisamente più importante se ci interessa la condizione dei veri ultimi, e non semplicemente degli ultimi del nostro Paese (che se siamo politici invece sono gli unici che abbiamo l’interesse di lusingare). Bene, salta fuori che fra gli effetti della globalizzazione, non solo la percentuale di persone in povertà è in costante calo… ma anche la disuguaglianza reddituale.
Non ditelo a Marx.
*Parte noiosa dei calcoli:
Utilizziamo il PIL in dollari del 2005 (così da non considerare l’effetto dell’inflazione).
Il PIL, che può considerarsi una buona approssimazione del totale dei redditi (ad essere rigorosi avremmo dovuto usare il reddito nazionale lordo RNI, ma la differenza rispetto al PIL è irrisoria):
nel 2014 è di 14 797 640 milioni di dollari (con una forza lavoro di 155 922 000 persone);
nel 2000 è di 11 553 319 milioni (con una forza lavoro di 142 583 000);
nel 1980 di 5 934 555 milioni (con una forza lavoro di 106 940 000).
(I dati sulla forza lavoro li prendiamo da qui)
Ovviamente dal 1980 a oggi la popolazione è aumentata di quasi la metà, e una popolazione numerosa lavora di più e quindi produce più ricchezza.
Utilizziamo quindi d’ora in poi una forza lavoro fissa di, diciamo, 100 milioni di persone così da non considerare sul PIL l’effetto del suo aumento nel tempo (che falserebbe i risultati).
Il PIL in tal caso sarebbe rispettivamente di:
9 490 412 milioni nel 2014; 8 102 873 milioni nel 2000; 5 549 425 milioni nel 1980
Ora consideriamo soltanto quel 20% dei percettori di reddito più ricchi degli Stati Uniti, il quinto quintile, quello che tutti odiano insomma.
Il 20% più ricco della popolazione passa
da una percentuale del 44.1% del reddito totale nel 1980
ad una del 49.8% nel 2000,
ad una del 51.2% nel 2014
(cioè prende più fette della torta mentre la torta diventa più grande).
Quindi in particolare prende:
5 549 425 x 0,441 = 2 447 296 milioni nel 1980
8 102 873 x 0,498 = 4 035 231 milioni nel 2000
9 490 412 x 0,512 = 4 859 091 milioni nel 2014
il reddito reale medio di questo top 20% degli americani aumenta
del 64,9% dal 1980 al 2000
del 20,4% dal 2000 al 2014
Ora ripetiamo l’operazione con ogni quintile come appena fatto con il quintile più alto.
1 comment
Interessante, e conferma il buon senso di una mia proposta sulla ZERO TAX sulle imprese, come stimolo potente per l’aumento del volume della torta.
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