Fondata nel 2012, Arriva Italia Rail è una società dedicata ai servizi ferroviari. Attiva su 14 mercati nazionali, dal 2002 è presente anche in quello italiano, del quale detiene circa il 5%, fornendo servizi di trasporto passeggeri sia a livello urbano sia interurbano principalmente in Piemonte, Valle d’Aosta, Lombardia, Friuli Venezia Giulia e Veneto.
Inequivocabili sono le sue parole di presentazione: “L’obiettivo di Arriva Italia è quello di proporsi come operatore multimodale, capace di gestire servizi integrati e innovativi, così come avere un ruolo da protagonista nel percorso di liberalizzazione del settore”. In questo quadro, alquanto chiaro, entra ora la variabile, alquanto opaca, del funzionamento dello Stato italiano a tutti i livelli. Una delle ultime storie arrivano dal nordest.
Nel nostro Paese avevamo la Regione Veneto che doveva rinnovare la concessione di servizio del trasporto ferroviario ed il nostro Paese è anche quello dove il maggiore operatore di trasporto su ferro si chiama Trenitalia ed appartiene a Ferrovie dello Stato (società controllata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze).
Sempre nel nostro Belpaese abbiamo il gestore della rete ferroviaria (RFI) che appartiene anch’essa a FS. In questo Paese accade che un operatore di mercato, sulla base delle sue strategie aziendali e la voglia di investire per crescere, offrendo servizi ai viaggiatori-consumatori, pensava di poter partecipare ad un bando di gara già indetto. Ma in Italia accade altro (come troppo spesso sappiamo ed amaramente notiamo) ovvero si sceglie di affidare “senza gara“ la concessione per altri 15 anni a Trenitalia (anche sfuggendo al rispetto di una basilare logica di costi e convenienza economica, tanto poi la bolletta viene scaricata su utenti e contribuenti).
Ecco che allora nel Paese dove viviamo e lavoriamo (ancora), l’operatore di mercato “Arriva Italia” decide di ricorrere alle autorità preposte a salvaguardare il buon funzionamento del mercato: libero e concorrenziale.
In Italia esiste l’autorità Antitrust (o meglio l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, AGCM), posta a tutela della concorrenza e del consumatore. Parrebbe tutto semplice, no? Il quadro normativo nitido, la vicenda della concessione senza bando è chiarissima e l’aspirazione dell’operatore entrante di mercato fondata.
Dopo 14 mesi di indagine, una certa mole di documenti, l’Antitrust con un provvedimento di 39 pagine fitte fitte, accerta un abuso di posizione dominante ad opera di Ferrovie dello Stato, della sua società controllata Rete Ferroviaria Italiana e dell’altra sua controllata Trenitalia e commina multa di 1000 euro (no, non è un refuso, mille euro, da pagare pure in solido, da parte delle tre società). La misura della sanzione, irrisoria, è scioccante, soprattutto se confrontata con le multe milionarie, se non miliardarie, comminate in altri stati e da parte della Commissione Europea. Ma si tratta di una sanzione espressamente simbolica, anche se la motivazione (“comunque i Veneti ci guadagnano in infrastrutture”) non è, come vedremo, assolutamente condivisibile.
Quel che conta è che, stando al provvedimento, Trenitalia si aggiudica il trasporto locale in Veneto perché ha potuto offrire qualcosa in cambio, e quel qualcosa in cambio sono investimenti pubblici. Ma non (solo) investimenti con risorse proprie. RFI si è impegnata a fare degli importanti lavori di elettrificazione delle linee. Ma si noti, gran parte di quei soldi vengono o dal Ministero infrastrutture e trasporti, o da contributi degli enti locali, o dai pedaggi.
Dunque, da quanto si ricava, abbiamo un operatore che si fa forte con i soldi nostri, per non dover fare gare. Il messaggio è chiaro: se ci date il trasporto locale, quei soldi li mettiamo dove voi (politici) siete interessati. Una mano lava l’altra. Volete fare i paladini della concorrenza a vantaggio dei trasportati, mettendo a gara costi e qualità del servizio, invece di prendere quello che vi diamo noi a scatola chiusa? Il nostro fratello RFI i soldi non li mette da voi.
Ad ogni modo, anche se gli investimenti fossero “meritati”, le norme italiane ed europee vietano (a buona ragione!) a una società che gestisce i binari (pure in esclusiva) di dare con essi una grossa mano ad una società che offre il servizio di trasporto, soprattutto quando la proprietà delle due società è la stessa. Soprattutto quando viene messo sul piatto della bilancia qualcosa che comunque sarebbe dovuto. Con ciò impedendo a imprese più efficienti di offrire servizi innovativi, più efficienti, a minor costo. Ma si sa, in Italia c’è il turboliberismo!