Giovedì 22 Gennaio è stata una giornata, a suo modo, importante. Evitiamo di scrivere “storica”, come molti quotidiani, commentatori e politici hanno fatto, poiché (semplicemente) non lo è stata.
La Banca Centrale Europea ha (finalmente?) deciso di intervenire nuovamente nel mercato aperto e questa volta lo farà attraverso operazioni non convenzionali, comprando vari asset finanziari (tra cui anche titoli di stato emessi dai paesi dell’Euro zona) per un valore pari a circa 60 miliardi di Euro al mese. A partire da marzo 2015, e per i successivi 18 mesi, Mario Draghi and Co. apriranno gli sportelli “speciali” dell’elicottero di Francoforte: il Quantitative Easing (in Italiano “Alleggerimento quantitativo”) è ormai pronto.
Moltissimi hanno gridato vittoria. In Italia la politica tutta sembra essere entrata in estasi. Quasi tutti, infatti, credono che l’Euro e l’Euro zona siano ormai salve, che la crescita economica sia ormai alle porte e che il (cattivo?) spettro della deflazione presto sarà solo un brutto ricordo. Tutto ciò semplicemente grazie all’intervento non convenzionale della BCE.
Nel frattempo, ieri in Grecia si sono tenute le elezioni e Syriza ha ottenuto una forte vittoria con circa il 36% dei voti. Seppur con un “potere” limitato a livello europeo, visto che la Grecia rimane un “piccolo” paese all’intero dell’Unione Europea e dell’Euro-Zona, la vittoria di Tsipras potrebbe aprire nuovi scenari, che potrebbero portare anche (è una possibilità) a future decisioni abbastanza radicali. La domanda, quindi, sorge spontanea: sicuri che l’alleggerimento quantitativo sia la soluzione a tutti i problemi?
Ad essere sinceri, abbiamo poco di cui gioire. Come lo stesso Draghi ha ammonito, senza “riforme” (alias politiche fiscali adeguate) non si farà molta strada. Ma questo, chi è del mestiere, lo sa.
L’intera Euro zona è stata già avvertita. Dalla titubante (ed a volte ostile) Berlino alla stravagante (e spesso pigra) Roma il messaggio è stato forte e chiaro: senza politiche fiscali improntate alla riduzione del debito, all’occupazione e alla crescita economica i benefici del Quantitative Easing saranno limitati.
Nel Luglio 2008, il tasso di interesse di riferimento della BCE era pari al 4,25%, nel Settembre 2014, questo tasso ha toccato quota 0,05% mentre il tasso sui depositi bancari ha raggiunto una quota negativa, pari al -0,20%. Il costante intervento di Trichet e Draghi a poco è servito, fino ad oggi, per rinvigorire la crescita europea.
Alcuni economisti “tradizioni” parlerebbero di “trappola della moneta” e cioè di una situazione in cui le politiche monetarie della Banca Centrale non riescono più ad esercitare influenza sulla domanda aggregata.
In tanti credono che la mossa della BCE sia arrivata così tardi solo per colpa della Germania e che la mossa di Draghi sia dovuta principalmente alla deflazione. La realtà è leggermente più complessa. Chiaramente la deflazione (purtroppo erroneamente descritta come fenomeno macroeconomico associato alla recessione) ha giocato un ruolo molto importante nella decisione del board dell’istituto centrale di Francoforte. Al tempo stesso è fondamentale ricordare un altro fatto, altrettanto significativo: tre mesi fa (alla fine di Ottobre 2014) la Banca centrale americana, la FED, ha ufficialmente terminato il terzo QE. Al fine di evitare il rischio di ripercussioni potenzialmente negative sull’economia globale, la mossa della BCE potrebbe essere legata anche a questo avvenimento. Ci potrebbe essere stata una sorta di staffetta tra le due banche centrali più “potenti” del mondo al fine di mantenere stabilità monetaria globale.
Visto che lo scenario macroeconomico di molti paesi in via di sviluppo è fortemente legato alle decisioni delle Banche centrali, quali la FED e la BCE, l’ipotesi della staffetta, sembra alquanto plausibile.
Detto questo, è giusto ricordare al nostro caro lettore della così detta “neutralità della moneta”: nel medio-lungo periodo (non 100 anni ma semplicemente 2-3-4 anni) le azioni espansive della BCE avranno effetti solamente sul valore nominale (prezzi, salari, tasso di cambio) e non sui valori reali (PIL, occupazione, consumo). Davanti al nostro paese, quindi, si prospettano due scenari: il primo, simile a quello Giapponese, di una ripresa economica mai completamente avvenuta (a causa delle riforme fiscali non ancora effettuate da Abe, la famosa “terza freccia” dell’abenomics); il secondo, simile a quello Britannico, di una forte crescita economica (grazie alle politiche fiscali effettuate dal governo Cameron).
Infine, vorremmo sollevare un’altra importante questione “tecnica”, che mina le basi della teoria economica convenzionale: siamo sicuri che l’intervento della banche centrali produca sempre benefici all’economia reale e che il ciclo economico sia strettamente legato alla domanda aggregata?
Forse, poi, osservando attentamente la realtà dei fatti, nemmeno così tanto…
“Combattere la depressione con un’espansione forzata del credito significa tentare di curare il male con gli stessi mezzi che lo hanno causato; […] poiché stiamo soffrendo di troppi mal-investimenti avvenuti negli anni precedenti, ora vogliamo semplicemente creare ulteriori mal-investimenti. Una tale procedura può solo portare ad una crisi molto più grave, non appena l’espansione del credito terminerà” (“Prices and Production”, Friedrich Hayek, 1931).
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