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Politica interna

Cofferati – parlamentare europeo per hobby

E così alla fine ha deciso di andarsene. Sergio Cofferati abbandona il PD, in polemica con con Matteo Renzi.

L’ex leader della CGIL, appena eletto al Parlamento Europeo, aveva deciso di candidarsi alle primarie per la designazione del candidato alla presidenza della Regione Liguria.

L’esito delle primarie viene inficiato da brogli massicci e palesi irregolarità: orde di immigrati sono reclutati per votare l’avversaria Raffaella Paita, candidata renziana, sostenuta anche da esponenti della destra locale che esplicitamente invitano i loro elettori a votare per lei. Cofferati perde per 4.000 voti circa.

Si rifiuta quindi di riconoscere il risultato e ricorre alla magistratura, minacciando sfracelli. Il PD, invece di annullarle, convalida il risultato, con Renzi che minimizza l’accaduto.

Due sono le osservazioni che si possono trarre dalla vicenda.

La scelta di Cofferati di lasciare le istituzioni europee per una carica regionale è emblematica di un malcostume diffuso in Italia: eletti a cariche pubbliche che le abbandonano prima della fine del mandato per conseguire cariche più allettanti. Paradigmatico della mancanza di serietà che molti politici hanno nei confronti dei loro elettori e dell’incarico che ricoprono. Il Parlamento Europeo viene considerato dai partiti italiani alla stregua di un ufficio di collocamento o come un posto dove vecchie glorie della politica possano “svernare”.

Vale per Cofferati come per Alessandra Moretti (ma prima di loro, a Bruxelles, lo hanno fatto in tanti: da Lilli Gruber a Franco Frattini, da Mario Borghezio a Matteo Salvini, fino a Debora Serracchiani, solo per citare i nomi più noti).

Immaginate lo sdegno, la riprovazione che susciterebbe in Germania, nell’opinione pubblica, un episodio simile.

Ad una prima, grave scorrettezza se ne aggiunge un’altra: Cofferati quando decide improvvidamente di candidarsi, non abbandona il seggio, lo conserva; sicché oggi è ancora eurodeputato. D’altronde il sindacalista fattosi politico – prassi, questa, alquanto discutibile – non è nuovo a questo tipo di comportamenti: quando abbandonò Bologna disse che non si sarebbe candidato in Europa non essendo “un cialtrone” (parole sue). Si candidò, smentendo se stesso.

Da candidato della sinistra in Liguria, avrebbe dovuto chiedere da subito l’annullamento delle primarie, nel momento in cui si profilavano i primi appelli espliciti di esponenti dello schieramento opposto a sostegno della rivale. Non lo ha fatto perché era sicuro di vincere.

Ciò che è accaduto in Liguria, segnala il deterioramento crescente che le primarie stanno assumendo come strumento di selezione del personale politico (e c’è chi ancora propone di estenderle al centrodestra).

Le primarie del Partito Democratico hanno due gravi difetti.

Sono aperte a tutti indistintamente: cioè qualsiasi elettore – di destra o di qualsiasi altro orientamento politico – può votare condizionando la competizione. Questo processo raggiunse il culmine nelle primarie del 2012 che videro sfidarsi Renzi e Bersani: secondo una ricerca di Fasano, il 42% di chi scelse Renzi non aveva mai votato quel partito prima d’allora.

Per garantirne il corretto svolgimento ed evitare che il risultato possa essere falsato, dovrebbero essere riservate ai soli iscritti.

Poi le regole che ne dovrebbero disciplinare lo svolgimento sono aleatorie e interpretate in maniera arbitraria: l’articolo 18 dello statuto del PD le impone per ogni competizione elettorale – nazionale o locale -, ma in alcuni casi viene disatteso (Regione Toscana, Piemonte, Friuli, forse in Campania).

Quando proprio nelle primarie campane del 2011 accaddero fatti analoghi, l’allora segretario del PD Bersani decise saggiamente di annularle.

Renzi ha perso dunque un’occasione in più per attuare quel rinnovamento nella gestione del partito (del quale invece pare disinteressarsi completamente) indispensabile per cambiare il paese.

1 comment

Franco Puglia 20/01/2015 at 20:49

La spregiudicatezza della nostra classe politica è senza confini.
L’uso che viene fatto degli incarichi pubblici è scandaloso.
Lo stesso Renzi , sindaco di Firenze, invece di occuparsi della sua città pensava a costruirsi la strada per palazzo Chigi.

Quanto alle primarie aperte, per me sono una insensatezza.
Io credo nelle primarie chiuse, ristrette agli aderenti al partito politico a cui sono iscritti, e credo nella necessità di assicurare all’interno dei partiti una autentica gestione democratica. All’interno di una associazione di cui faccio parte (www.leformedellapolitica.it) abbiamo anche laborato una proposta di legge che obblighi i partiti a dotarsi di strumenti seri di democrazia interna.
Le primarie in una occasione elettorale, se ristrette agli iscritti, sono il metodo più partecipativo per scegliere i candidati agli incarichi politici pubblici.
Questo non impedisce a soggetti di destra di iscriversi ad un partito di sinistra (o viceversa) in maniera strumentale ma se l’iscrizione valida ai fini della partecipazione alle primarie è pre-datata a sufficienza il rischio diventa irrilevante.

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