Lo scisma britannico rappresenta insieme il capolavoro d’imbecillità di una classe politica nazionale che, come molte altre, troppo irresponsabilmente ha giocato col fuoco della propaganda sciovinista e la suprema prova di democrazia di quella immensa architettura che è la nostra Unione Europea, la quale consente addirittura ai propri membri di secedere negoziando comodamente le condizioni del ritiro. I detrattori della “burocrazia tecnocratica di Bruxelles” levino pure il loro insulso peana alla gloria del Parlamento di Westminster: intanto mentre Juncker e Schulz – prendendo immediatamente atto della volontà popolare – invitano il Regno Unito a presentarsi urgentemente al tavolo delle trattative, i sedicenti professori di democrazia di Londra fanno sapere che, no, alla corte di sua Maestà intendono riflettere sul da farsi fino ad Ottobre.
Chi scrive appartiene alla generazione che forse più di tutte ha fondato la propria esistenza sull’ineguagliabile libertà donata dall’Europa senza frontiere, incontrando di paese in paese nuove preziose esperienze professionali e di vita, nuovi inaspettati legami affettivi, eppure ritrovando ovunque il medesimo spirito di fratellanza e all’occorrenza i sapori, le fragranze e i prodotti familiari, al punto che per noi niente è sacro come la bandiera dalle dodici stelle. Ciononostante, se solo il referendum di giovedì scorso si fosse tenuto in un diverso momento storico, da amanti della concordia e del libero scambio, avremmo volentieri auspicato l’instaurazione di un virtuoso e costruttivo rapporto di cooperazione con il popolo britannico, che desse modo a ciascuna delle due parti di prosperare secondo le proprie scelte e possibilità. Tuttavia lo stato di grave crisi politica in cui versa attualmente l’Europa fa del ritiro del Regno Unito dalla Comunità una tale minaccia esistenziale che – deve essere assolutamente chiaro – alla secessione o sopravviverà il Regno o sopravviverà la nostra Unione.
Si badi infatti che Londra fa ancora parte dell’UE, sia pure alle ben note condizioni di comodo – onde tanto più sfrontato e gratuito appare lo schiaffo dato alla sessantennale storia di pace e progresso delle istituzioni comunitarie. Ciò che la politica inglese si appresta a fare in realtà è semplicemente negoziare le condizioni di accesso al mercato unico, vale a dire studiare un modo per rimanere nell’UE fingendo di esserne uscita, diventando così il migliore argomento fasullo della propaganda euroscettica. Se tale opportunistico gioco di prestigio verrà assecondato, seguiranno ovviamente nuove analoghe rivendicazioni da parte di altri membri e l’Europa finirà col disgregarsi brano a brano con danno enormemente più grave e duraturo per gli interscambi internazionali e per la pace di quello che avrebbe una singola subitanea guerra doganale tra l’Unione intera e il solo Regno Unito.
Per cui, siccome pur da liberoscambisti riteniamo che restrizioni al commercio estero possano essere necessarie, non ovviamente come strumento di politica economica, ma come strumento estremo di risoluzione delle controversie internazionali – lo si è fatto molto correttamente contro la Russia e anzi forse si sarebbe dovuta calcare ancora di più la mano – ora occorre che agli inglesi non solo non venga concesso alcun trattamento speciale sul modello svizzero, ma vengano invece loro sbarrati tutti i mercati che è possibile sbarrare e che vengano revocate loro tutte le licenze che è possibile revocare: a quel punto l’economia britannica sprofonderà in una tale crisi che anche agli occhi più prevenuti diventerà immediatamente visibile che il fantomatico centralismo di Bruxelles (all’UE destiniamo solo l’1% del PIL), il presunto dirigismo europeo (l’UE è la maggiore area di libero scambio del mondo) e la supposta protervia dell’eurocrazia (la sola Italia ha aperte attualmente 82 procedure d’infrazione) costano meno di niente a paragone dei benefici derivanti dall’appartenenza ad una comunità che, con i suoi limiti e difetti, è e resta non solo la più grande economia del globo, ma la madre stessa della civiltà. Madre anche dei rinnegati che l’hanno appena tradita per piccoli interessi di bottega.
Noi, in silenzio, aspetteremo seduti sulla riva della Manica il cadavere di Boris Johnson o di Nigel Farrage o di qualunque altro pagliaccio succeda a quel grottesco reuccio nudo che si è ritrovato ad essere David Cameron. Perchè la responsabilità in politica è il prezzo più nobile della democrazia ed escogitare qualche magheggio per salvare il popolo britannico dall’attacco nucleare che esso ha inopinatamente lanciato contro se medesimo, sarebbe irriguardoso verso la stessa tradizione liberale anglosassone oltre che ingiurioso verso la memoria dei martiti dell’Euromaidan e di tutti gli uomini che hanno versato il proprio sangue in difesa dalla bandiera blustellata e degli ideali di libertà e democrazia che essa oggi come nessun altra rappresenta.
2 comments
Accolgo ‘toto corde’ quest’articolo. Gli Inglesi hanno bisogno di riflettere sulla propria dabbenaggine, e ciò è possibile se l’U.E. farà capire agli Inglesi le infinite batoste subite, gli angosciosi stalli, le numerose marce indietro che la costruzione europea ha subito per colpa dell’U.K. Senza l’U.K. riusciremo, se lo vogliamo, ad andare più spediti sulla via dell’unificazione totale. Quanto l’U.K. vedrà questi progressi, allora capirà, ed è soltanto allora che potremo riammetterla, ma facendola passare sotto le Forche Caudine, non per vendetta ma per insegnare agli Inglesi che l’Unione europea ha bisogno di disciplina, di parità, di saggezza.
[…] loro vero volto socialnazionalista, dove sono spariti i professorini da tastiera che celebravano il referendum di Giugno come il principio di una riscossa democratica? In quanti sono rimasti a decantare le […]