Il passaggio dal caso particolare ad una legge generale consiste in un’operazione molto azzardata soprattutto quando le osservazioni e le misurazioni toccano gli esseri umani e i loro comportamenti e queste non sembrano supportate da argomenti solidi. È questione antica tanto quanto la filosofia e l’umanità, ma evidentemente, ancora oggi, pare che questa lezione non sia stata compresa almeno da buona parte dei commentatori, editorialisti, fondisti, politici, politicanti e replicanti nel teatrino politico-mediatico del nostro paese. L’ultimo caso preso in esame e risolto frettolosamente con il metodo induttivo sono le elezioni regionali di domenica scorsa che da qualche giorno occupano il dibattito pubblico.
Non si contano in tv, sui giornali, sui social network e su internet in generale, frasi, dichiarazioni, uscite pubbliche, articoli che attaccano in fretta e furia etichette esplicative alla recente tornata elettorale. “Queste elezioni dimostrano che” è l’incipit preferito. I più cauti abbozzano un “Mi pare che”, salvo poi correggere il tipo subito dopo con un definitivo “è chiaro però”. Tanti, troppi spacciatori di certezze infondate affollano i media italiani. Quando invece l’unica certezza è che chi tenta oggi di generalizzare il voto in Calabria e, soprattutto, Emilia Romagna o è interessato a fornire una versione di comodo oppure è alla ricerca di conferme delle proprie opinioni. Perché se, e notare il “se”, queste elezioni hanno avuto un qualche valore nazionale, questo lo si deve andare a cercare oltre il polverone della rissa mediatica e politica di questo paese. E, con tutto il rispetto per gli eventuali lettori calabresi, lo si può trovare, forse, analizzando quello che è successo nelle elezioni emiliane.
Probabilmente le vicende del governo, la rissa con la minoranza Pd e soprattutto il sindacato, la linea ondivaga o impalpabile delle opposizioni e altre vicende nazionali hanno influito su questo risultato. Ma c’è da pensare che tutti questi fattori siano stati per lo più elementi di contesto di scarso rilievo. Tra questi, se dovessimo scegliere, solo il confronto con la Fiom appare un elemento nazionale che può aver avuto un qualche effetto. Se a questi aggiungiamo poi sia il totale menefreghismo dei vertici, leader, pseudoleader dei partiti e movimenti a livello nazionale per elezioni emiliane – fatto salvo il segretario della Lega Nord, Matteo Salvini – sia il sostanziale disinteresse dei media nazionali nei confronti delle elezioni regionali, appare difficile sostenere che gli emiliani, con il loro voto, abbiano voluto esprimere un giudizio sul quadro politico nazionale. Va da sé che, nell’eterna tempesta in un bicchier d’acqua della politica italiana, come stiamo vedendo in questi giorni, i risultati verranno strattonati a destra e a manca per lotte politiche di questo o quel gruppo di potere. Baruffe e polemiche mascherate con dovizia dal lessico politichese di circostanza e tutto l’armamentario di dichiarazioni d’ordinanza. Ma questo è il gioco politico-mediatico delle parti perennemente attivo, non un indizio della valenza nazionale del voto emiliano. Voto – e non voto – potrebbero essere spiegabili invece a partire da dati legati alla realtà emiliana e altri elementi macroscopici scollegati dal nuovo atto della tragicommedia politica italiana, nato sotto il segno di Matteo Renzi.
La campagna elettorale in Emilia vedeva in campo un solo candidato vincente, il piddino Bonaccini. Non c’è mai stata partita e fino a qui nulla di nuovo: in Emilia non c’è quasi mai stata partita negli ultimi sessanta e passa anni di libere elezioni. Ma unendo questa costante ad altri fattori, forse possiamo ricavare qualcosa di più utile a capire il risultato inedito di domenica scorsa: il candidato Pd appariva scolorito, sia per il profilo personale del personaggio – cioè un grigio uomo d’apparato – sia per una serie di scandali che avevano compromesso le primarie del Pd emiliano; le opposizioni politiche e anti-politiche non sono mai apparse all’orizzonte; il dibattito pubblico è stato così acceso che si sono registrati casi di cittadini elettori che non sapevano che si stesse andando a elezioni. Insomma, la campagna elettorale emiliana ha avuto lo stesso appeal di quelle televendite che si possono trovare su qualche tv locale: nullo o giù di lì. A questi fattori vanno poi aggiunti due o tre elementi che non hanno contribuito ad infiammare i cuori dei cittadini emiliani. Consiglio, giunta regionale e presidente uscenti dell’Emilia Romagna sono stati colpiti da inchieste giudiziarie contornate da particolari talvolta grotteschi. E in aggiunta a questo si votava per una regione, cioè un’istituzione – e questo sì che è un elemento diffuso a livello nazionale – tra le più screditate istituzioni del pachidermico sistema amministrativo e di governo italiano. È possibile ritenere queste le vere cause del voto emiliano dello scorso week end senza andare alla ricerca di test nazionali inventati di sana pianta? Credo di sì.
Eppure, se si vuole cercare un elemento di novità, un dato nazionale, per non dire sistemico, questo lo si può trovare scavando un po’ più a fondo rispetto alla superficie dei risultati di domenica. E non riguarda partiti di governo, di opposizione, equilibri politici e altro ancora, ma riguarda il comportamento di voto dei cittadini emiliani. Le percentuali e i valori delle elezioni in Emilia Romagna mostrano come si stia sempre più affievolendo la necessità di andare a votare per confermare la propria fedeltà a questo o quel partito. Molti disertano le urne, alcuni cambiano voto, in una regione tra le più stabili nella storia delle elezioni italiane, anche degli ultimi anni. È come se si stesse pian piano sciogliendo un ghiacciaio che, però, invece di riportare alla luce reperti di ere geologiche passate, rivela nuove dinamiche, in parte registrate anche negli anni passati in altre regioni e aree della penisola. Forse anche nella regione rossa che più rossa non si può, l’allentamento dei lacci del confronto politico e il ricambio generazionale stanno liberando i cittadini da vincoli che ingabbiavano i loro comportamenti di voto.
Forse anche in Emilia si sta pian piano passando dall’appartenenza alla scelta, che comprende anche la non-scelta. E questo potrebbe essere uno degli ultimi passaggi di un cambiamento epocale che, come un fiume carsico, era nascosto sotto la superficie politica del paese e si sta progressivamente mostrando, in maniera più o meno evidente, in punti diversi della storia e della geografia italiana, nel pieno del dissesto politico-istituzionale di questo paese. Ma questo si vedrà con analisi più attente.
Le elezioni emiliane quindi potrebbero suggerirci qualcosa. Ora come ora dimostrano ben poco. Ma, tra le poche cose, mostrano come oggi si abbia sempre meno bisogno di spiegazioni semplici e strillate, e sempre più bisogno di momenti di riflessione. Forse l’Italia sta cambiando verso, o l’ha già cambiato, e non solo a causa degli effetti del trasformismo renziano. Il problema è capire quale sia, questo benedetto verso.